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Musica

La storia politica della musica Dance secondo Terre Thaemlitz

La deep house non è solo musica, ma crisi sessuali, prostituzione, mercato nero di ormoni, HIV, solitudine, droga... a 120 BPM.

La musica dance ha sempre fatto il suo ingresso nel mainstream partendo dai margini della società, dal jazz alla house, dalla disco al rock'n'roll, e ogni volta che questo è successo, la musica ha portato con sé la storia di chi la faceva. È per questo che, quando è al suo meglio, l'energia e il sogno utopico della musica dance hanno sfiorato la possibilità di cambiare il mondo.

La maggior parte della dance è nata come musica strana, fatta per gli outsider, ignorata dalla cultura ufficiale, denunciata come svago da drogati e deviati sessuali e infine accettata e cooptata. Il fatto che gli stili musicali dei gruppi marginali potessero raggiungere il successo ha creato spazio per l'innovazione e la trasgressione, ci sono poche altre cose che arrivino dalle frange più esterne della società con un potenziale di diventare poi adatte al consumo di massa paragonabile alla dance. La tensione tra questi due estremi ha generato una lotta senza quartiere per "l'anima della musica dance", in qualche modo esacerbata dal fatto che il dancefloor sia un luogo in cui la politica è un fatto implicito e mai esplicito, tutto azione senza teoria, fatta eccezione per le teorie tipo "pace e amore" che si sciorinano di tanto in tanto alle cinque di mattina quando sorge il sole. È un genere di politica dal basso, priva di manifesto, che venera il movimento spontaneo di massa di un popolo che balla.

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Sono molto poche le voci autorevolmente impegnate nel lato politico e storico della dance quanto quella di Terre Thaemlitz, che ha passato gli ultimi tre decenni a mettere in discussione l'etica e l'estetica della house sotto vari pesudonimi, passando dal ruolo di DJ resident nei tranny bar di New York alle composizioni sperimentali al riconoscimento globale del suo valore come DJ. Dietro tutto ciò c'è sempre la sua fiera voce indipendente, pronta ad alzarsi per analizzare la complessità e le contraddizioni che circondano il cangiante mondo della dance.

"Quando ho lasciato il Midwest per trasferirmi a NYC nell'86", spiega Terre dalla sua attuale dimora in Giappone, "i collegamenti tra musica house, mondo queer e le comunità nere o latine erano innegabili, a patto di non essere ostili a qualcuno di questi contesti. I club erano dei rifugi, di luoghi sicuri, non a caso portavano nomi tipo The Shelter." È un'epoca che Terre omaggia nel suo album più noto Midtown 120 Blues, tributo alla storia musicale della deep house newyorkese, ma anche alle vite ai margini di chi frequentava quella scena. L'album si apre con un discorso di Terre… "I contesti da cui la deep house è emersa sono stati dimenticati: crisi sessuali e di genere, prostituzione transessuale, mercato nero di ormoni, dipendenze da droga e alcool, solitudine, razzismo, HIV, ACT-UP, Thompkins Sq. Park, brutalità della polizia, discriminazione sessuale, povertà, disoccupazione, censura… a 120 BPM." Questa è una buona introduzione a tutta la sua carriera, e per la storia dimenticata e imbiancata della house, oggi che viene tramandata perlopiù tramite mediocri chart di Beatport e party anonimi.

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Foto di Bart Nagel

Nell'86 la disco era morta e il nuovo suono house si stava facendo largo nell'underground gay di new york. Terre aveva appena iniziato a mettere i dischi in un drag bar chiamato Sally's II, a Times Square, dove rimase resident fino ai primi anni Novanta (guadagnando dieci dollari l'ora), finché non andò incontro a un licenziamento causato dalla sua negligenza a suonare le tracce major che i riccardoni ricchi volevano ascoltare. A quel punto Terre decise che era il caso di smettere di limitarsi ai DJ set e iniziare a produrre tracce proprie. Midtown e Times Square erano al centro della Ball Culture e della scena drag dell'epoca, la cui colonna sonora erano le tracce che Terre produceva col suo alias DJ Sprinkles. Era una scena decimata da AIDS, droga, povertà, razzismo e omofobia, ma più tardi sarebbe stata aggredita anche dalla letterale Disney-ficazione di New York, quando nel 1997 le multinazionali invasero Times Square e Sally's fu costretto a spostarsi.

"La musica in sé, be', non è mai una cosa in sé, non può prescindere dal contesto" dice Terre della svolta mainstream della house, della sua appropriazione da parte di Madonna in "Vogue": "ad esempio, quanti localini chic ci sono a Londra, in cui si suona musica Raggae per un pubblico di bianchi ricchi? Nel frattempo, Sally, la proprietaria di Sally's II e 'Madre' della House Of Magic, teneva spettacoli drag in cui faceva lip-syncing su canzoni di Barry Manilow. Non si può mai sperare che un suono mantenga il proprio significato o la propria funzione! Fa tutto parte delle stesse dinamiche di contestualizzazione e ricontestualizzazione."

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Sono proprio questi moti culturali ad aver permesso alla musica dance di oltrepassare i propri confini immediati e iper-specifici in cui era nata e mettere radici in una miriade di scene globali, da Chicago a Detroit a Baltimora, Brooklyn, New York, Londra, Francoforte, Berlino… Fino a trascendere quelle radici queer per trasformarsi in un genere musicale che fa da inoffensiva colonna sonora per lo yuppie bar globale che è la club culture di oggi, in party music buona per chiunque voglia lasciarsi andare su un 4/4.

Il messaggio e la filosofia musicale di Terre, però, dicono che non ci si può mai davvero lasciare andare, che la house non ha mai permesso davvero di fuggire dalla sofferenza, perché i DJ, i producer e i ballerini originali si portavano la sofferenza dentro i club. Per quanto le parti vocali delle tracce house inneggiassero al godimento, erano più espressione di desideri che delle effettive descrizioni di quello che stava succedendo. Prima che nascessero house club come il Paradise Garage, era la disco a fare da tana alla comunità gay di New York. Nei party privati del club a invito di David Mancuso The Loft avevano trovato uno spazio, un luogo nascosto dove potere esprimere liberamente il proprio stile di vita. "Onestamente, non riesco a immaginare un tempo e un luogo in cui razza e sessualità non fossero evidenti", spiega Terre "perché erano continuamente oggetto di ostilità da parte della cultura dominante bianca ed eteronormata. La musica dance e la disco erano sempre descritte in termini razzisti e omofobici." In 120 Midtown Blues Terre ricorda di essere stato rimbalzato a uno dei party di Mancuso proprio nel momento in cui lui stava suonando una sua traccia. Tutti questi contenuti vengono da piccoli segmenti di spoken word inclusi nell'album che fanno da intermezzo tra le tracce. È una cosa che ha fatto anche altre volte, ad esempio piazzando un discorso di Tony Benn sull'eguaglianza di classe sopra una ritmica house, e pubblicandolo su 12".

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Foto: Ruthie Singer-Decapite

"Ci sono molti altri rapporti specifici tra la tipologia di clubber e i dischi che venivano suonati nei vari spazi." spiega "le varie collezioni house venivano costruite negli anni attorno a determinate tipologie di approcci sessuali. Oggi che i DJ sono portatili, è più difficile che qualcuno sulla ventina immagini un collegamento così radicato nel tempo tra luoghi e sonorità. Come ho detto, si tratta di uno sbalzo culturale bello grosso e, anche se quasi non se ne parla, credo contenga tutte queste altre discussioni." L'era del Dj portatile potrebbe essere anche l'epitaffio dell'attuale scena dance, che si è auto-cannibalizzata per fare il botto in america, nella forma de-sessualizzata e iper-aggressiva della EDM. È sempre più difficile trovare quelle sacche di resistenza che definirono le prime fasi della musica house a Chicago, Detroit, New York e Londra, specialmente quando molte di queste città si stanno auto-cannibalizzando più velocemente della dance.

"Certo, la commercializzazione è successa a blues, folk, country, jazz, rock, disco, punk etc, abbiamo una miriade di punti di riferimento storici per comprendere la produzione di cultura di massa e la trasformazione in prodotto. Non è nulla di nuovo, che questo riguardi la queerness o questioni razziali. Per cui ci si aspetterebbe che la discussione si fosse evoluta e oggi fosse diventata piuttoto intricata ma… ovviamente non è così. Fa tutto parte di un problema più ampio, più diffuso." Eppure, anziché lagnarsi della morte mitologizzata di una età dell'oro, le produzioni, le idee e i Dj set di Terre esaminano implacabilmente ciò che costituisce quelle mitologie: per ogni purista dlle musica dance esiste qualcuno di più puro, per chiunque operi ai martingi c'è qualcuno che opera ancora più ai margini. Le mitologie non sono mai stabili, specialmente se si discute di una cultura che è stata distrutta dallo sforzo combinato di AIDS, Madonna e Disney.

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"Dipende da quanto la suddetta mitologia sia romantica, cinica, nichilista, pragmatica, materialista, spirituale… Certo, io ci tengo molto a costruire delle mitologie socio-materialiste e alternarle alle storie che parlano del rifiuto di perdere di vista la sofferenza o la necessità di nascondersi. E, sì, questo può voler dire criticare il romanticismo, incluso il romanticismo dominante del LGBT Pride™. È difficile perché molto del linguaggio della musica dance è ossessionato dal romanticismo, dalla trascendenza, dalla fantasia, dall'evasione. Ciò rappresenta una contraddizione che per molti è difficile superare. Devi iniziare discussioni tenendo a mente che ci si parla da mondi diversi. Per me, questo vuol dire adattarsi a un modello di pubblico piccolo, specifico e di nicchia, non perché erede di una qualche saggezza divina, ma in quanto oggetto di molestie, violenza, discriminazione… Questo contraddice uno dei cliché principali della musica dance: l'universalità.

Chiaramente nella mia visione delle cose c'è poco ottimismo, ma questa è tutta un'altra storia. E non mi interessa la musica dance in sé: intendo dire che per molto tempo la musica dance è stata la colonna sonora di spazi a cui tenevo molto perché erano connessi a esperienze di auto-organizzazione in situazioni di povertà, bigottismo, confusione sessuale, epidemie mortali etc. Ma è l'organizzazione delle persone, non dei suoni, che fa effetto su di me. Per ricostruire le traiettorie della queerness, bisogna usare media come la musica in rapporto alle azioni e ai movimenti dela gente, piuttosto che sperare di trovare la "verità" o l'"illuminazione" nei suoni rappresentativi che generiamo… Perché molto della queerness, quando si lega all'esperienza, è composto da cose che vogliono rimanere invisibili e non dettte. Questo rende incompleta ogni possibilità di generare un lascito puramente sonoro. Comprenderlo è l'assunto fondamentale a partire da cui tutte le discussioni dovrebbero avere luogo. Specialmente dal momento che la cultura dominante è così determinata a considerare la musica una visuale accurata e veritiera sulle menti degli altri. Che trucchetto ridicolo."

Credits

Text Felix Petty