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DeepDream_Act II: l'opera d'arte immersiva che riproduce il flusso di dati della rete

Il collettivo romano NONE ha dato vita a un'opera d'arte immersiva che ti catapulta dentro i sogni dell'intelligenza artificiale.
Una delle tante immagini di Google Deep Dream

DEEP DREAM_ACT II | Digitalife 2016 | La Pelanda MACRO Testaccio by NONE di NONE su Vimeo.

Pensate all'incredibile mole di immagini che si trovano in rete e al flusso di dati a cui corrispondono. Immaginate di trovarvici in mezzo, in una dimensione dove spazio e tempo non esistono, dove tutto è deformato e scorre velocissimo. Ecco. Questa è l'esperienza che il collettivo romano NONE, composto da Gregorio De Luca Comandini, Mauro Pace e Saverio Villirillo, vuole restituire agli spettatori del festival Digitalife di quest'anno.

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L'obiettivo dei tre artisti è quello di mettere i fruitori dell'opera di fronte a quella dimensione digitale che costiuisce gran parte della nostra vita, e lo attuano con un'installazione dal titolo DeepDream_Act II che rievoca le immagini create da un algoritmo di "immagini psichedeliche", Deep Dream appunto.

Poco più di un anno fa, le immagini prodotte dalle reti neurali convoluzionali di Google—nell'ambito di un ambizioso progetto di machine learning—erano diventate virali e avevano suscitato una serie di reazioni stupite. Da dove provenivano quelle immagini? Com'era possibile che delle macchine potessero arrivare a riprodurre un tale livello di psichedelia? Gli algoritmi stanno sviluppando un qualche tipo di creatività?

La risposta era molto più banale di quanto sembrasse: l'obiettivo di Google Research era quello di insegnare alle reti neurali a decodificare e associare tra loro diversi tipi di immagini. Ma il loro modo di "percepirle" è molto diverso da quello dell'uomo, e quando è stato chiesto alle reti di restituire una versione delle cose lo hanno fatto in questo modo psichedelico. Ciò non toglie che il fatto che un'intelligenza artificiale sia in grado, in un certo senso, di sognare e di vedere delle immagini con una qualche soggettività, la rende irrimediabilmente più simile a noi.

Per capire quale sia risvolto artistico umano di questa creatività della macchina abbiamo contattato il collettivo NONE e abbiamo fatto loro qualche domanda sull'installazione immersiva DeepDream_Act II.

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Motherboard: qual è l’intento del vostro collettivo?

Gregorio: NONE è un collettivo artistico che si muove sul confine tra arte, design e ricerca tecnologica. Nasce dall'unione di diverse esperienze per dar vita a uno spazio di espressione autonomo, esule dall'industria creativa, in grado di sviluppare progetti innovativi e interdisciplinari, anche nel campo dell’arte. Costruiamo esperienze che indagano la dimensione umana, macchine che esplorano lo spazio fisico, lo sviluppo degli eventi e l'inconscio.

Che cos’è Deep Dream_Act II?

Deep Dream è un po’ il punto di arrivo della nostra attuale ricerca. S’ispira alla realtà che viviamo ogni volta che accendiamo il computer e che entriamo in contatto con la nostra seconda esistenza, quella digitale.

Prendendo spunto dal concetto di intelligenza artificiale ci siamo occupati dell’interazione uomo-macchina. Nel caso dell’algoritmo di Google, Deep Dream appunto, la macchina sta provando a riprodurre una sorta di creatività autonoma. Il suo resoconto, che funziona per associazioni di immagini, non è altro che il frutto di quell’immaginario condiviso che è il web.

Ci interessa portare il fruitore in una dimensione realizzata con questo immaginario, dove lo spazio e il tempo non esistono. E l’abbiamo realizzato in anteprima nazionale all’interno di Digitalife 2016.

Immagine: courtesy degli artisti.

E come mai vi siete interessati proprio a Deep Dream?

Perché è evidente che l’algoritmo cerca di catturare l’unica cosa che non riesce a riprodurre, ovvero la creatività umana. Le immagini di Deep Dream rappresentano una psichedelia del tutto inaspettata all’uomo, quando sono state scoperte hanno suscitato un certo scalpore in rete.

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Sì, ricordo.

Ispirandoci a quest’idea abbiamo realizzato una piattaforma online, su facebook, in cui le persone sono invitate a creare un database di immagini: postano foto sulla bacheca e contribuiscono all’opera. Per riempire il database abbiamo lanciato diversi temi: politica, tecnologia, sport, fashion, cinema.

E la cosa ha funzionato?

Sì. Il tutto è nato in maniera piuttosto spontanea, i partecipanti hanno postato un sacco di immagini per l’installazione. L’opera è in continuo divenire.

Se dovessimo riproporre un’installazione simile tra qualche anno, per esempio, useremo nuove immagini. Il nostro intento è quello di rappresentare il momento presente della nostra vita digitale.

In questa opera d’arte collettiva il nostro compito è stato quello di creare lo spazio in cui avviene questa comunicazione. Uno spazio senza dimensioni, un cyberspazio in cui avviene il rapidissimo passaggio dei dati.

Qual è il vostro POLITICAL DREAM? JOIN PIC!
L'opera sarà in mostra a #Digitalife2016 @romaeuropa #DeepDream #NONE pic.twitter.com/nefTQSqmNW
— NONE (@whoisnone) 27 luglio 2016

Questo cyberspazio è l’installazione?

Esatto. È fatta da una croce di specchi - circa 170 metri quadrati di specchio su pavimento, pareti e soffitto. Entrando si crea una sorta di ipercubo, ovvero una moltiplicazione all’infinito del contenuto. Le immagini sono state trattate con una chiave cromatica/estetica digitale, facendo anche un lavoro sulla geometria affinché il tutto avesse una certa prospettiva in relazione alla forma della struttura. Non è la videoarte anni Novanta, per capirci, che ripropone le immagini televisive; abbiamo rielaborato tutto e, nel flusso, abbiamo inserito l’infrazione data dall’interazione dell’utente

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E come funziona questa componente interattiva?

Quando la persona si muove, attiva alcune deformazioni che abbiamo pensato come deviazioni spazio-temporali. Nell’interazione con l’opera fa comparire le proprie foto profilo sotto forma di tessere nel flusso velocissimo di dati costituito dalle immagini.

Attraverso le API di facebook, infatti, riusciamo a usare le loro immagini del profilo - perché prima di entrare nell’installazione bisogna accettare attraverso il log-in con facebook. Poi, nel bel mezzo del flusso di dati, “a sorpresa” ci si ritrova di fronte alle proprie foto.

Dal punto di vista strettamente tecnico?

La parte computazionale dell’installazione si compone di un router di rete, sei personal computer, quattro Kinect e due schede audio. Come si può vedere dalla mappa visiva del sistema, le quattro kinect inviano dati ai due master (audio e video) che producono dei contenuti audio e video generativi. Il software, scritto con openFrameworks, comunica con l’app di facebook “Deepdream” che scarica le immagini utente dei partecipanti e le passa alla patch di Touchdesigner. Quest’ultimo software produce in real time una composizione generativa di animazioni con elementi visual, contemporaneamente Abletonlive genera modulazioni sonore a seconda della posizione dell’utente nello spazio. Generando visual e suono in tempo reale, ogni utente vive un’esperienza immersiva unica, che cambia ogni volta aspetto a seconda dell’interazione.

Cosa vi interessa comunicare al vostro pubblico?

C’è il tema della privacy. Noi avremmo voluto hackerare direttamente i profili facebook delle persone, perché non è poi così difficile… Poi ovviamente si sono presentate delle criticità legali. Un altro aspetto è quello scenografico, ci interessava l’esperienza estetica della perdita dell’orientamento del fruitore. Il tema principale, però, è il rapporto uomo-macchina. Principalmente è una rappresentazione di ciò che siamo nella vita virtuale, che poi non è esattamente quello che ti aspetti, e lo capisci da questo flusso di dati, da questa memoria collettiva che stiamo costruendo.

Questo articolo è apparso originariamente su Motherboard Italia.