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[Esclusivo] La prima opera robotica del Guggenheim è fuori controllo

Un enorme braccio robotico che brandisce una spatola gigante, posto su una pozza di liquido scuro che trasuda incessantemente verso l'esterno.
Can’t Help Myself, Sun Yuan e Peng Yu, 2016. Courtesy del Guggenheim Museum.

Un enorme braccio robotico che brandisce una spatola gigante, posto su una pozza di liquido scuro che trasuda incessantemente verso l'esterno. Con movimenti lisci, rapidi e aggressivi, la macchina mette in scena una danza calcolata, facendo perno e trascinandosi lungo la superficie in un lavoro continuo per riportare il liquido verso il centro. Can’t Help Myself, presentato all'interno della nuova mostra Tales of Our Time, è un'installazione degli artisti Sun Yuan e Peng Yu che ha l'onore di essere la prima opera d'arte robotica del Guggenheim.

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Ma se l'arte robotica non è niente di nuovo, allora perché il museo ha aspettato tanto prima di esporre un'opera del genere?

"Quando l'arte si arricchisce di nuovi medium e nuove tecnologie è sempre una sfida nuova," risponde il curatore Xiaoyu Weng. "È successo con il video, con i new media; ora stiamo facendo i conti con la manutenzione, il funzionamento e la conservazione di questi ultimi (per esempio preoccupandoci dei software e dei sistemi di programmazione che diventeranno obsoleti)… Stiamo prendendo in maniera molto positiva e attiva, come dimostra l'acquisizione di Can’t Help Myself al Guggenheim.”

Can’t Help Myself, Sun Yuan e Peng Yu, 2016. Video esclusivo courtesy del Guggenheim Museum.

Can’t Help Myself è un'opera provocatoria e intrigante," spiega Weng a The Creators Project. "Tocca molti temi contemporanei che sono urgenti nel contesto urbano, non solo per le sue caratteristiche materiali, ma anche per il suo messaggio concettuale e socio-politico."

Se sei come me, il liquido rosso viscoso ti farà pensare al sangue—ma Sun Yuan e Peng Yu insistono sul fatto che l'opera non è basata sul simbolismo, ed è aperta a interpretazioni. Comunque, l'immagine ci mette a confronto con questioni che riguardano "il piacere e il panico" di anticipare il futuro. "Solo nella casualità del glitch di un computer, un blackout o la perdita di un cellulare possiamo capire quanto la contemporaneità ci abbia rapiti," ha detto l'artista a The Creators Project. "Più è forte questo senso di dipendenza, più si rafforzano il panico e il piacere che ci apportano. La parte più terribile è che non importa quanto ci si rifletta sopra, non può essere fermata… Allo stesso modo le paure sono interessanti per l'insegnamento che promettono di fornirci."

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Can’t Help Myself, Sun Yuan e Peng Yu, 2016. Screengrab dal video.

Quanto più questa tecnologia cresce nelle nostre vite, tanto più l'ansia sulle dinamiche uomo/macchina suscita un importante dialogo sul futuro dell'arte: come possono la tecnologia e la robotica prendere il posto dell'artista ed estendere o replicare la loro volontà? "Anche se le macchine sviluppano una nuova capacità di calcolo che supera i loro setting originali, questi calcoli saranno ancora basati sulla logica programmata dagli umani," ha detto Sun Yuan nel video della mostra. "Il lavoro di un artista è il riflesso della sua volontà. L'artista non ha bisogno di essere presente, fisicamente. Può contare su un agente che lo fa al posto suo."

Can’t Help Myself, è la testimonianza di un'intelligenza artificiale che segue una coreografia stabilita dall'atista. "Se il potenziale umano non è limitato, ogni potenziale artistico dei robot non verrà contenuto," ha detto l'artista a The Creators Project. "I dispositivi tecnologici sono sempre più presenti nelle nostre vite e sono anche parte dei nostri corpi; è naturale che entrino nel mondo dell'arte."

Can’t Help Myself, Sun Yuan e Peng Yu, 2016. Courtesy del Guggenheim Museum.

Schizzi dello sviluppo di Can’t Help Myself, Sun Yuan e Peng Yu, 2016. Screenshot dal video.

Can’t Help Myself si interroga sul posto della macchina nella grande narrativa dell'umanità ed esplora quello che l'artista robotico Bill Vorn chiama estetica del comportamento digitale. Man mano che la tecnologia avanza, il rapporto uomo/macchina diventa sempre più complesso. "Gli esseri umani devono imparare dalle macchine per prendere il controllo su di loro," spiega l'artista. "Le persone che appartengono al passato non capiscono fino in fondo la narrativa odierna, e noi del presente facciamo difficoltà a costruire una narrativa per il futuro. Questo è perché le macchine, parte integrante della nostra conoscenza, stanno cambiando continuamente e stanno accelerando anche i cambiamenti degli esseri umani. Questa è la corrispondenza continua tra l'uomo e la macchina: il progresso dell'una dipende dall'altra."

Can’t Help Myself è una metafora, con il potere allegorico di raccontare la storia della relazione umana con la tecnologia una storia del presente," ha detto il curatore Weng a The Creators Project.  "Racconta l'eterna ricerca dell'immaginazione culturale dell'uomo con il marchio dei nostri tempi."

La mostra Tales of Our Time è al Guggenheim Museum fino al 10 marzo.